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Erika Maderna -

Le mani degli Dèi

Mitologie e simboli delle piante officinali nel mito greco

 

L'autrice di Medichesse torna a stupire con un saggio di profonda cultura ed eleganza sulla mitologia delle piante medicamentose.
“Tutto è pieno di Dei”, affermava Talete: nelle religioni antiche il senso del sacro permeava il vivente e si esprimeva attraverso riti, preghiere, racconti mitologici.
Gli uomini manifestavano profonda gratitudine verso quelle piante o alberi che svolgevano un'azione curativa, e la pracatio omnium herbarum, preghiera che veniva recitata prima della raccolta delle piante officinali, ne è una testimonianza.
L'azione farmacologica della pianta era legata non solo alle sostanze in essa contenute ma anche al rito della raccolta che prevedeva purificazione, attenzione alla posizione del sole, invocazione, incantesimo rivolto al Dio al quale essa era consacrata.
Trasferire il principio curativo dalla pianta all'uomo assume il senso di gesto sacro, rivelatore del legame amoroso tra natura e creatura.

Le piante e la sfera del sacro erano indissolubilmente legate: i primi santuari furono le foreste, templi vegetali a tutti gli effetti; il timo porta, nella sua etimologia, il significato delle fumigazioni sugli altari. Gli Alberi sacri abitano le mitologie antiche con topoi simili: nei poemi mesopotamici l'albero Khuluppu è disturbato da un'aquila e da un serpente, proprio come accade al frassino Yggdrasill della tradizione nordica, due animali che esprimono forze opposte ma complementari; anche l'albero del giardino delle Esperidi è sorvegliato dal serpente, così come quello della conoscenza del giusto e dello sbagliato che troviamo nella Genesi.
Nella mitologia greca non assistiamo ad una metamorfosi effettiva di Dei in creature vegetali, sono piuttosto le ninfe ad essere mutate in alberi o piante.
La ninfa rappresenta la memoria di un'età più vicina allo stato di natura, dove il femminile era il paradigma delle forme vegetali: nel mito greco incarna un ideale femminile di vita libera e selvaggia , condotta nei boschi in armonia con i cicli naturali.

Dalle lacrime e dal sangue, fluidi di vita e di morte, nascono piante significative, come la viola di Attis o l'anemone di Adone.
Dee legate alle piante curative erano Era e Afrodite, che rappresentano le polarità dell'amore in costante tensione: ne è testimonianza la storia del giglio, nato dal latte di Era, ma modificato da Afrodite con l'aggiunta di un pistillo malizioso. Dee legate alle piante officinali erano anche Artemide, Kore e Demetra. Nella storia della ninfa Mintha, (amante di Ade trasformata nella pianta di menta da Demetra), risulta evidente la correlazione tra la storia narrata e il suo aspetto fitoterapico: la “freschezza” dell'amore libero entra in contrasto con la castità matrimoniale di Demetra/Kore.
Dee pharmakides legate al Sole sono Calipso, Circe e Medea (quest'ultima accoglie nel nome il verbo mèdomai che significa “io curo”).
Maga pharmakides è anche Elena di Troia, che viene chiamata in alcune fonti “dendrite” ovvero “arborea”, è lei che maneggia erbe consolatrici che dissolvono il dolore.
In Afrodite, Era, Demetra, Kore, Artemide, come anche in Dafne, Medea, Circe riecheggiano le antiche Dee Madri preindoeuropee, dee della vita, ma anche dee della morte.

Il libro di Erika Maderna, arricchito da immagini di antichi erbari e da quadri della pittura moderna è un'opera necessaria per restituire alle piante la loro dimensione narrativa. Vedere la pianta solo come un insieme di principi attivi è come vederla con un occhio solo, quello che la lega alla sfera dell'utile. Apriamo dunque anche l'altro occhio, perché Gustare la bellezza di un racconto può essere una prima forma di avvicinamento; aprire lo scrigno che ne contiene i segreti equivarrà ad affacciarsi alla soglia del mistero. Forse, se riusciremo a sciogliere qualche enigma, ma anche a recuperare un po' di quell'antico sguardo innocente, torneremo a cercare nella natura l'ispirazione per un nuovo modello di vita, più sensibile ai valori spirituali. Potremo allora credere che abbattere una foresta equivalga a violare le ninfe che vi dimorano.

 

Erika Maderna
Le mani degli Dèi
Mitologie e simboli delle piante officinali nel mito greco
Aboca 2016

VERDE BRILLANTE: sensibilità e intelligenza del mondo vegetale

STEFANO MANCUSO E ALESSANDRA VIOLA
Giunti 2015

 

Le piante sono intelligenti e dispongono dei 5 sensi (udito, olfatto, vista, tatto, gusto), anzi ne hanno altri 15 in più. Dalle piante dipende la nostre esistenza, eppure l'uomo si rifiuta di riconoscere il ruolo che esse hanno sul pianeta.
Sin dall'antichità ci sono stati uomini che si sono schierati apertamente dalla parte dei vegetali (Democrito, Linneo, Darwin padre e Darwin figlio, Delpino) e chi, invece, le considerava “immobili”, non degne di considerazione, esseri inferiori.

Cinquecento milioni di anni fa le piante scelsero per uno stile di vita stanziale, ricavando dalla luce, dalla terra, dall'aria tutto ciò che a loro occorreva per sopravvivere. Tale scelta ha comportato tutta una serie di modifiche per arrivare alla sopravvivenza, primo tra tutti la struttura modulare, ovvero il comporsi di parti divisibili allo scopo di resistere agli attacchi dei predatori. La pianta è un dividuo, dunque, a differenza dell'animale che è un individuo, ovvero indivisibile nelle sue parti. Nella struttura modulare la pianta non concentra un organo in un punto specifico ma lo dissemina su tutte le parti.

Oltre ai benefici universalmente noti (produzione di ossigeno, mitigazione del clima, aspetto fitoterapico, nutrimento), nuove ricerche coinvolgono le piante sul piano del benessere: la semplice vista di una pianta apporta calma e rilassatezza. I malati che, negli ospedali, hanno una finestra sul verde utilizzano meno analgesici e vengono dimessi in tempi più brevi, i bambini che, a scuola, godono della vista su piante e alberi hanno un miglioramento della capacità di attenzione.

Il terzo capitolo indaga i sensi delle piante, non senza sorprese.
La capacità di vedere è strettamente connessa al fototropismo, ovvero alla crescita in direzione della luce.
La pianta non solo riesce a distinguere la luce dall'ombra ma è anche in grado di riconoscerne la qualità in funzione della lunghezza d'onda dei suoi raggi. I recettori della luce sono concentrati soprattutto nelle foglie, ma si trovano anche nello stelo e nelle radici. Gli alberi caducifoglie vanno in letargo, dormono, per superare l'inverno.
Il senso dell'olfatto lascia davvero sorpresi perchè attraverso gli odori le piante comunicano in un avera e propria lingua vegetale: mandano messaggi di pericolo, di attrazione o repulsione.
La parte deputata al gusto sono le radici che si spostano assaggiando i nutrienti del terreno; un “gusto” a parte è dato dalle piante carnivore, che mangiano insetti nella ricerca di azoto, necessario per la produzione di proteine.

La pianta che “incarna” il senso del tatto è la “mimosa pudica” capace di chiudere in modo repentino le foglie se viene toccata. Alcuni fiori si chiudono sugli insetti impollinatori per “sporcarli” meglio di polline, mentre le piante che hanno i viticci tastano gli ogggetti intorno per scegliere da chi farsi sorreggere.
L'udito è dato dalle vibrazioni della terra , captate da tutte le cellule della pianta grazie a dei canali meccano-sensibili: la musica applicata all'agricoltura delle viti ha prodotto, a Montalcino, risultati sorprendenti: il vino di quelle viti era più ricco di sapore, colore e polifenoli.

Oltre ai 5 sensi che abbiamo in comune, le piante ne hanno sviluppati altri 15.
Il quarto capitolo indaga la comunicazione delle piante, accenniamo al fatto, per esempio, che esse riconoscono i parenti e i batteri che possono essergli amici.

Ogni anno migliaia di specie di cui non sappiamo nulla si estinguono e, con loro si perdono definitivamente chissà quali regali per l'umanità. Forse, essere consapevoli che le piante sentono, comunicano, ricordano, imparano, risolvono problemi, potrà un giorno aiutarci a considerarle più vicine a noi e magari fornirci l'opportunità di studiarle e proteggerle con maggire efficacia.

Le piante meritano diritti, e la discussione su questo punto non è più rimandabile.
 

JEREMY NARBY: L’INTELLIGENZA IN NATURA

Saggio sulla conoscenza

Jacabook

 

 

Un polpo risolve un labirinto, apre barattoli, si innervosisce, scappa da un acquario ed entra in un altro per rubare un’aragosta.

Inter-legere, “scegliere tra”: indica la capacità di prendere le giuste decisioni.

È davvero l’uomo l’essere più intelligente, viste le ultime decisioni che sta prendendo in relazione al pianeta? Siamo una specie giovane, rispetto al polpo, e ancora passibile di miglioramenti. Due strade, quella intuitiva/visionaria degli sciamani dell’Amazzonia e quella deduttivo/razionale della scienza occidentale arrivano allo stesso pensiero: la natura (animale e vegetale) è intelligente.

Di meno di mille cellule è il corpo del nemotoide caernhabditis elegans, eppure anche lui reagisce al gusto, al tatto, agli odori, alla temperatura; le api imparano a conoscere rapidamente l’ambiente in cui si trovano e captano il nettare più abbondante; le spugne utilizzano segnali elettrici per bloccare il meccanismo di alimentazione se percepiscono l’intorbimento dell’’acqua; le are si nutrono di argilla perché protegge la mucosa intestinale dall’azione tossica di alcuni semi: studi che fanno scricchiolare la teoria di Monod, padre della biologia molecolare, che nel suo libro “Il caso e la necessità” esclude l’ipotesi di una causa finale in natura.

Di esempi il mondo animale ce ne fornisce moltissimi, cosa invece sappiamo delle piante?

Le piante possono andare alla ricerca di cibo, avvertono il pericolo, comunicano tra loro, anche loro imparano, ricordano, decidono, “non hanno un cervello ma si comportano come se lo avessero”.

La palma paxiuba si sposta per cercare il sole, suo nutrimento, poiché fornita di trampoli alla base del fusto: è un comportamento intenzionale a tutti gli effetti.

Le piante non pensano, forse, ma di sicuro calcolano prima di dare avvio ad una reazione che costerebbe loro un dispendio enorme di energia.

Così fa la cuscuta, pianta parassita, ed ha a disposizione un’ora di tempo per capire se la pianta che ha scelto ha il contenuto nutritivo adatto alla sua sopravvivenza. È attraverso la caratteristica della plasticità che la pianta sceglie.

Andando a ritroso di cellule, cosa dire degli unicellulari come i mixomiceti?

Uno di loro, lo physarum polycephalum, è in grado di uscire da un labirinto.

“La natura utilizza segni e comunica”: questo gli sciamani lo dicono da tempo.

La cellule scambiano informazioni attraverso le proteine, la pianta attraverso sostanze chimiche volatili, i delfini usano onde sonore, l’uomo si serve del linguaggio.

C’è una parola, non antropocentrica, che possa delineare la capacità degli esseri viventi di prendere la giusta decisone? Sembra di no.

E Narby si rivolge al giapponese per cercarla.

In Giappone, dove il confine tra l’uomo e il resto del mondo (e anche tra uomo e Dio) è labile, Narby trova la parola Chi-sei, che può essere tradotta con “capacità di conoscere”. “Il chi-sei forma un continuum in tutto il mondo vivente”. Il nostrochi-sei è ancora inesperto, giovane, incapace di dare un freno alla natura predatoria che sta distruggendo il pianeta.

“L’umanità può imparare dalla natura. Ciò richiede lo sforzo di giungere a patti con la capacità di conoscere diffusa nel mondo naturale”.

 

 

JEREMY NARBY - IL SERPENTE COSMICO.

Il Dna e le origini della conoscenza.

 

La rete della vita è una struttura cosciente.

L'antropologo Narby affronta l'argomento partendo dalla sua esperienza con il popolo Ashanica e con Carlos, sciamano. È lui stesso il protagonista di una esperienza di trance attraverso l'ingestione dell'ayahuasca.

Come può un popolo che vive nella foresta amazzonica, ambiente che ospita 80 mila specie vegetali, avere delle conoscenze approfondite di chimica e botanica? Queste informazioni vengono loro dalla natura stessa attraverso le piante psicoattive, tra cui l'ayahuasca. L'ayahuasca è una combinazione di due piante bollite per ore, una delle due produce dimetiltriptamina, sostanza secreta dal cervello umano.

Guarda la forma. Defocalizza.

Nella sua esperienza con l'ayahuasca Narby ha la visione di due serpenti attorcigliati, e non è il solo a ricevere questa immagine: due serpenti, o una scala a pioli, o due liane intrecciate. Cosa sono queste immagini ricorrenti nelle trance sciamaniche di cui parla anche Eliade nello “Sciamanesimo e le tecniche dell'estasi”? L'autore lancia la sfida: è il DNA, la doppia elica intrecciata all'origine della vita, che accomuna tutte le specie viventi. E la mitologia/filosofia conferma la tesi: in molte civiltà si parla di urobori, serpenti cosmici, caducei, kundalini...e le associazioni potrebbero continuare, come a rispondere in modo universale alla domanda “da dove veniamo?”.

Guarda la forma. Defocalizza.

Aveva detto Carlos all'autore. La liana intrecciata con cui si prepara l'ayahuasca, detta anche “la scala per la via Lattea” o “la pianta rampicante dello spirito”sembra ricordare il dna. Nel nostro corpo ci sono 201 miliardi di km di dna, una fune che potrebbe collegare cosmo e terra. Se la scienza è arrivata ad affermare la biocomunicazione tra cellule attraverso un'emissione biofotonica, tanto da parlare di superorganismo collaborativo, perché non supporre una rete di connessioni tra l'intero sistema vivente attraverso il dna? Che sia il dna lo spirito presente in ogni essere vivente di cui parlano gli sciamani?

“Perché ci abbiamo messo tanto?” risponderebbe Carlo: la scienza arriva alle stesse conclusioni dell'arte sciamanica o delle filosofie antiche, solo con un percorso più lungo e complicato e non senza contraddizioni e passi falsi perché “noi vediamo solo ciò in cui crediamo e per cambiare quello che vediamo talvolta è necessario cambiare ciò in cui crediamo”.

EDIZIONI VENEXIA

CANDACE PERT : MOLECOLE DI EMOZIONI

in ristampa per edizioni Tea

“La felicità è la nostra condizione naturale, l’estasi è insita nella nostra natura”.

Abbiamo bisogno di “libri-ponte”: testi che siano collegamento tra Oriente e Occidente, tra medicina alternativa e medicina allopatica. In questa direzione si sono mosse le ricerche di autori quali Watts, Capra, Narby: con il risultato di un incontro (seppur con molto ritardo da parte dell'occidente scientifico), tra la scienza moderna e le culture antiche yogiche e sciamaniche. Anche il libro di Candace Pert si colloca in questo ambito.

A lei si deve la scoperta delle molecole che sono la base biochimica delle emozioni: i peptidi.

Dove nascono le emozioni? Nascono nel corpo o solo nel cervello? Entrambe le risposte sono corrette perché il processo viaggia in doppia direzione: i peptidi, le molecole messaggere, infatti, vengono prodotte da più parti del corpo.  Ne è ricco il cervello, ma anche l'intestino crasso e l' intestino tenue sono rivestiti da un fitto strato di neuropeptidi e recettori. Queste molecole, per attivare delle modifiche cellulari, devono avere un recettore adeguato. È il recettore che permette a qualsiasi farmaco di fissarsi. Le molecole del recettore sono in costante vibrazione e si trovano all'esterno della cellula, sulla membrana. Qui esse danzano nell'attesa di incontrare il legante. Quando avviene l'incontro il  legante trasmette il messaggio al recettore, il recettore lo trasmette alla cellula dove il messaggio può modificare lo stato della cellula stessa dando luogo ad eventi biochimici.

Nel cervello i neuropeptidi sono concentrati soprattutto nel limbico, sede delle emozioni. Dal libero flusso di peptidi tuttavia dipende il nutrimento del prosencefalo che è la sede delle funzioni cognitive superiori (questa parte del cervello raggiunge il suo pieno sviluppo non prima dei vent'anni). La pianificazione del futuro, la capacità di prendere decisioni e di formulare l’intenzione di cambiare sono tutte funzioni del prosencefalo. Quando ci sentiamo passivi, statici, “in gabbia”, ripetendo vecchi schemi di comportamento, è segno che le emozioni  non trovano il loro libero flusso, e, di conseguenza, il prosencefalo malnutrito non riesce a promuovere un cambiamento.

“Se le nostre emozioni sono bloccate a causa di negazioni, repressioni o traumi, il flusso del sangue può diventare cronicamente limitato, deprivando la corteccia frontale del suo nutrimento”.

Come si traduce in termini scientifici il blocco delle emozioni? Il CFR è il peptide delle aspettative negative che può essere stimolato dalle esperienze traumatiche che abbiamo vissuto nell’infanzia . Se il livello di CFR è alto,  le fluttuazioni degli altri peptidi risultano limitate.  Quando il crf aumenta i recettori si desensibilizzano e diminuiscono di numero: la memoria del trauma, dunque, è fissata a livello del recettore dei neuropetidi.

Un blocco, quello delle emozioni, che ci predispone all'insorgere di malattie più o meno importanti:  il reovirus del raffreddore usa lo stesso recettore della norepinefrina che è secreta da uno stato d’animo felice. Quando siamo felici, quindi,  il virus non entra perché tutti i recettori sono occupati.

L'autrice conferma la validità della PNEI: la PsicoNeuroEndocrinoImmunologia nasce circa trent' anni fa come incontro di discipline scientifiche quali le scienze comportamentali, le neuroscienze, l'endocrinologia e l'immunologia. La PNEI  studia le interazioni reciproche tra attività mentale, comportamento, sistema nervoso, sistema endocrino e reattività immunitaria, con lo scopo di riunire sistemi psico-fisiologici che da 200 anni sono stati separati nel loro studio e approccio.

Due fasci di fibre nervose sono collocate ai lati della spina dorsale, ciascuno dei quali è ricco di peptidi che trasportano informazioni: queste fasce corrispondono ai punti dei chakra della tradizione orientale.

Le parti scientifiche sono intervallate dalle parti biografiche, in cui vengono narrate in prima persona le difficoltà che l'autrice ha dovuto affrontare per riuscire a continuare la sua ricerca; le parti biografiche, anche se possono risultare meno interessanti, sono utili per comprendere quanto ostracismo si cela dietro un tipo di ricerca scientifica (e medica) che promuove l'uso delle terapie naturali.

“io credo che la felicità sia ciò che proviamo quando le componenti biochimiche alla base delle emozioni cioè i neuropeptidi e i loro recettori sono aperte e possono circolare liberamente nella rete psicosomatica interagendo e coordinando sistemi, organi, cellule in movimento continuo e ritmico. La felicità è la nostra condizione naturale l’estasi è insita nella nostra natura.

Chiaramonte Enrica, Frezza Giovanna,Tozzi Silvia

Donne senza rinascimento

 

 Rinascimento: sono gli anni di Leonardo, Botticelli, Michelangelo, gli anni della cultura umanistica. Ma sono anche gli anni nei quali si consuma la strage delle donne, bollate come “streghe”, anni nei quali inizia la dissociazione tra corpo e psiche, tra materia e spirito che dominerà fino ai nostri giorni.

1400 e 1500: è del 1426 il rogo di Matteuccia da Todi, è del 1589 il rogo di Crezia Mariani, e non sarà l'ultima ad essere torturata e bruciata.

Tra le donne accusate c'erano molte curatrici di campagna, unici punti di riferimento medico per molte persone. Perché la Chiesa e lo Stato si sono accaniti così tanto contro di loro? Il libro “Donne senza Rinascimento” è l'unico che indaga questa questione.

Nel medioevo l'attività curativa delle donne si affianca a quella di altri operatori, ed è ancora valutata positivamente, ne sono una testimonianza gli scritti della scuola medica salernitana, tra i quali vengono riportate ricette e preparati proprie della tradizione delle mulieres.

Nel rinascimento senza donne la malattia e il corpo entrano nelle Università, subentra una visione duale: si separa il corpo dalla totalità dell'essere umano, disanimandolo, per farne oggetto di osservazione, insieme alla malattia, anch'essa oggettivata, resa atemporale, da affrontare uniformemente.

La salute è sempre stato un terreno ambito dai poteri forti: la restrizione delle molteplici figure di guaritori e guaritrici (empirici, farmacisti, speziali, litotomi, levatrici, aggiustaossa, rinoplastici, herbari...) è cominciata con le “patenti” , una sorta di licenza con la quale si poteva continuare a lavorare.

Con l'avvento delle università si delinea la figura del medico addottorato (che sa il latino) che si distingue dal pratico empirico.

Nel 1511 lo stato di Milano stabilisce che chiunque voglia medicare debba essere approvato dal Collegio dei Fisici. Ad essere colpite sono le basi dell'autonomia e dell'uguaglianza sociale.

La medicina ufficiale è galenica, si basa sulla teoria degli umori e trova come strumenti di azione soprattutto salassi e purghe, pratiche contro le quali le herbarie e le medichesse si scagliavano, perché il sangue è vita e non va disperso, preferendo rimedi dolci, come i massaggi, le tisane, gli impacchi, senza far mancare l'ascolto attivo.

Le scoperte fisiologiche e i principi dell'umoralismo del tempo reintroducono e riconfermano il topos dell'inferiorità femminile: il corpo femminile è più cagionevole perchéformato da elementi meno dinamici e privi di calore che implicano il prevalere, a differenza dell'elemento aereiforme e ligneo dell'uomo, di quello terracque che significa staticità, passività, freddezza, e soprattutto incapacità di procedere oltre l'intuizione.

La donna risulta “interessante” solo come strumento di riproduzione. Il corpo femminile si fa oggetto di conquista, e il primo passo è quello di “eliminare” le sapienti levatrici (pensiamo al Lucia Bertozzi, definita dagli stessi inquisitori “strega eccellentissima”). La ginecologia entra a far parte del settore specialistico controllato dagli uomini, la mollities fisica femminile va sostenuta perché impossibilitata a gestire il proprio corpo.

Nel frattempo la magia si va accostando al demoniaco, portando con sé tutte quelle pratiche di cura che non rientrano nei dettami istituzionali.

I roghi fanno comodo ai physici perché tolgono di mezzo avversarie spesso particolarmente efficienti, come accade nel caso di Crezia Mariani di Lucca, donna che curava con erbe, massaggi, unzioni, ma anche con parole e segni, caso storico che il libro indaga in dettaglio.

Una donna come Crezia, del sottoproletariato contadino, viene facilmente relegata tra gli scarti della storia (..) ma essa può anche servire quale testimonianza ed esemplificazione di una medicina empirica popolare un tempo a protagonismo femminile che ormai si è deteriorata e appare scomoda, anche perché presupponeva l'impossibile: che nel gruppo di riferimento e nel corpo sociale le donne mantenessero spazi in cui veder riconosciuto e rispettato un loro modo autonomo di operare, di fare.

 

Chiaramonte Enrica, Frezza Giovanna,Tozzi Silvia
Donne senza rinascimento
Eleuthera edizioni, 1991

Caroline Myss

Anatomia dello spirito: I sette livelli del potere personale

 

La nostra biografia, cioè le esperienze che plasmano la vita, diventa la nostra biologia.

Le relazioni, gli eventi traumatici, gli atteggiamenti, le fedi e le superstizioni vengono codificate e immagazzinate dal sistema cellulare. I pensieri entrano nel corpo sotto forma di energia. C'è equivalenza tra energia e potere: il potere fa da mediatore tra il nostro mondo interiore e quello esteriore, comunicando attraverso il linguaggio del mito e dei simboli.

Denaro, sicurezza, bellezza, autorità, lavoro: ognuno si costruisce simboli di potere, ai quali è associata una controparte biologica; è necessario identificare quali sono i nostri simboli di potere e il linguaggio metaforico che utilizziamo per descrivere il loro effetto su di noi. L'ascolto del corpo e dei suoi messaggi è già una strumento per comprendere a fondo le questioni mentali ed emotive sulle quali dobbiamo lavorare.

La cura è passiva, mentre la guarigione è un processo attivo. La guarigione non può prescindere dal recupero del potere personale e da un re-indirizzamento di tale potere. Questo potere è dato dalla nostra capacità di scegliere in ogni momento quali sono le direzioni da prendere.

Ogni essere vivente vibra di energia carica di informazioni; queste informazioni possono essere percepite dall'intuizione ed espresse in modo simbolico.

Dalla tradizione orientale proviene il sistema dei 7 chakra o centri energetici: a questi l'autrice collega i 7 sacramenti cristiani visti nel loro ambito simbolico: battesimo, comunione, cresima, matrimonio, confessione, ordine ed estrema unzione. Caroline Myss dipana questi 7 centri di potere all'interno delle 10 sephirot dell'albero cabalistico. Le dieci sephirot sono le qualità del divino che costituiscono anche l'archetipo dell'essere umano. Chakra, sacramenti, cabala: 3 sistemi di pensieri si incontrano per fornirci strumenti di guarigione spirituale

Fondere le tradizioni induista, buddhista, cristiana ed ebraica in un complesso ordinato e dotato di verità sacre comuni significa creare un potente sistema di orientamento capace di elevare la nostra mente e il nostro corpo, e di mostrarci come gestire lo spirito del mondo.

Il primo livello riflette il nostro attaccamento alla tribù, intesa come famiglia o gruppo originario, il secondo livello amplia la sfera energetica alle relazioni personali e alla comunità, il terzo livello ci indica il livello di autostima e di rispetto di sé, il quarto livello esce dalla sfera concreta per iniziare un percorso nel divino.

Ricerca dell'approvazione, rabbia, incapacità di perdonare, persone che sentono il bisogno di controllare, sentirsi legato a qualcuno o qualcosa ci rendono acquisitori di potere dall'esterno togliendo energia dal campo magnetico corporeo per indirizzarla all'esterno.

Il libro offre domande per comprendere gli schemi di pensiero associati ai 7 livelli e delle meditazioni quotidiane per auto-valutare la propria condizione energetica.

La cosa importante non è tanto il tipo di cambiamento quanto la decisione di modificare quegli aspetti della nostra vita che ci impediscono di guarire.

 

 

 

Caroline Myss
Anatomia dello spirito: I sette livelli del potere personale
Anima edizioni 2011

 

 

 

Giuseppe Squillace

I balsami di Afrodite:

Medici malattie e farmaci nel mondo antico

 

Asclepio è il dio, o meglio il semidio della medicina. Secondo Pindaro è figlio di Apollo e Coronide e fu istruito all'arte della cura dal centauro Chirone, a sua volta figlio di Zeus e della ninfa Filira, poi tramutata in tiglio. La medicina nasce incorporata alla sfera religiosa per distaccarsene con Ippocrate. Nel nome Ascelpio è contenuta la parola epios che significa “dolcemente”, poiché dolce era la sua cura.

Salute e malattia erano emanazione diretta delle divinità, che, inviandole, premiavano o sanzionavano i comportamenti degli uomini.

La medicina antica integrava in sé l'aspetto rituale, caratterizzato da gesti, preghiere, incantesimi. Una medicina legata ad Apollo ma anche ad Atena e alla gorgone Medusa. Fu la dea a trasferire in Asclepio le vene di Medusa, quella adibita a guarire e quella adibita alla morte; la superbia del dio fu quella di utilizzare la vena che guarisce anche per resuscitare i morti, riuscendo a superare persino il padre Apollo.

In suo onore furono costruiti templi, detti Asklepieia, nei quali i sacerdoti apportavano la guarigione praticando la chirurgia e la fitoterapia; nella parte del tempio detta abaton i visitatori dormivano a terra nella speranza che il dio stesso comparisse loro, in sogno, a consigliare il rimedio. Nel tempio circolavano liberamente cani, serpenti e oche, animali a lui cari.

Chi beneficiava della cura lasciava scritto nel tempio quali rimedi erano stati seguiti e quale parte del corpo era stata coinvolta.

Sia Plino il Vecchio che Strabone riportano la notizia secondo la quale Ippocrate avrebbe ricopiato i documenti che i visitatori lasciavano negli Asklepieia, documenti che riportavano il rimedio suggerito loro dal dio, per poi dar fuoco al tempio, in modo da istituire una forma di medicina detta clinica.

Secondo Celso fu Ippocrate a staccare la filosofia dalla medicina che venne divisa, così, in differenti branche: diaiteike (cura attarveros il cibo), pharmaka (cura attraverso le erbe) e chirurgia.

Il saggio di Squillace passa in rassegna anche i botanici antichi e i medici di corte, per poi approfondire i medicamenti.

Olio, vino, aceto e miele erano utilizzati sia per le estrazioni dei principi attivi delle piante, sia come rimedi di per sé. La farmacopea era composta da vari tipi di rimedi,: frizioni, colliri, decotti, cataplasmi, fomenti, malagmi, impiastri, unguenti, pessari...

La parte finale del libro indaga le piante utilizzate, e un capitolo a parte riguarda la cosmetica, dal verbo kosmeo che indica il “mettere in ordine”, portare il cosmo nell'aspetto esteriore.

Le numerose immagini tratte dell'arte antica, fanno de I balsami di Afrodite un'opera preziosa.

 

Barbara Collevecchio

Il male che cura

 

Il rito del serpente a Cocullo si colloca in questa cura simbolica; esso affonda le radici nell'inconscio collettivo, e drammatizza archetipi quali l'Ombra, l'Eroe e la Grande Madre.

Con l'addomesticamento del serpente si attua un processo terapeutico che innalza l'uomo al di sopra della sua condizione elementare.

Il serpente, in quanto simbolo archetipico, conquista lo spettatore, poiché il rito esprime processi paralleli nel suo inconscio che possono così essere reintegrati nella coscienza.

La festa sembra risalire al XVII secolo, ed è un tentativo di cristianizzazione del culto della Grande Madre Angizia, la dea dei serpenti, i cui caratteri sono stati assunti da San Domenico che visse tra il X e l'XI sec, incarnando a pieno l'idea di semplicitas benedettina. Sono suoi attributi la cura dei morsi di serpenti, dei lupi, dei cani idrofobi, del mal di denti.

Angizia sembra derivare dall'indoeuropeo Ang, col significato di “soffocamento”, e da anguis, “serpente”. In terra greca all'interno del culto di Esculapio, che nell'iconografia è accompagnato da un serpente attorcigliato al bastone, i serpenti circolavano all'interno dell'Asklepeion, e venivano in contatto con gli ammalati durante il sonno risanatore.

I Marsi erano chirurghi, farmacisti, maghi, medici, taumaturghi e incantatori di serpenti, (anche detti ciaralli); discendono, secondo la leggenda, da Marso, figlio di Circe e si stanziarono attorno all'ex lago Fucino. Erano devoti della dea Angizia, negli stessi luoghi era presente anche il culto di Ercole.

Le dee antiche erano spesso accompagnate da animali selvaggi, sottolineando in questo modo la natura istintuale e selvaggia della psiche che la Dea sa comprendere.

Il nome “ciarallo” deriva dal corno con il quale i Marsi addomesticavano gli ofidi, secondo una leggenda che molto si avvicina alla favola del pifferaio magico. I ciarallidediti al culto di San Domenico erano in rivalità con i Sanpaolari, anche loro immuni al morso delle serpi. Dal “male”, dal veleno, si estraeva la cura- antidoto.

La festa si svolge il primo giovedì di maggio, nelle settimane precedenti i “serpari” raccolgono i serpenti che vengono riversati nella statua del santo il giorno della processione. La statua è seguita da due ragazze che portano sulle testa ceste con cinque ciambelle e pani rituali.

All'interno della chiesa la gente raccoglie la terra della cappella del santo e tira una catenella collegata ad una campana con i denti.

Il serpente urobotico si ricollega alla Grande Madre nei suoi due aspetti: dispensatrice di vita e dispensatrice di morte, Mater Terribilis che soffoca il figlio prigioniero. Stessa ambivalenza si riscontra nel serpente: come animale ctonio si lega agli abissi, a loro volta portatori di saggezza o di follia.

Il percorso dell'Eroe ci ricorda l'importanza di avere il coraggio di affrontare la paura di vivere un'esistenza autentica, un percorso individuale, senza temere la morte del nostro uomo sociale, o la solitudine che spesso deriva da scelte indipendenti.


L'Arcistrea Bellezza

 

“Se percorri il cammino delle mie vene troverai una danza antica modulata sui raggi della luna, una danza scolpita nella pietra e nella pioggia, attraversata da mille piedi di donne dai visi rotondi di contadine con in mano la terra e...le erbe”. 

Bellezza Orsini, figlia di Tomasuccia e di Angelo, data in sposa ancora bambina al mastro ferraio, madre di Bartolomeo, è ricordata dalla storia come janara, come strega. 

Streghe: mezzadre, medichesse del popolo, erboriste, levatrici, fattucchiere, pagane…figlie di Ecate, di Lilith, del femminile inquieto e pulsante, della follia che viene dalle ninfe (citando un libro di Calasso). 

Bellezza lavorò, come serva, presso la nobile famiglia Orsini, nel castello di Monterotondo.

Tra le sue mansioni c’era quella di preparare da mangiare ad una prigioniera del castello: Lucia da Ponzano, famosa erborista, esperta di benefici e di malefici.

Fu Lucia ad insegnare l’arte dell’herbaria a Bellezza. 
Ma fu sufficiente un medicamento non andato a buon fine perché Bellezza diventasse un capro espiatorio del tempo. Marco da Todi torturò ferocemente la donna fino a farle ammettere la partecipazione ad amplessi con il demonio. Bellezza venne condannata al rogo. 

Questa la storia come viene riportata, ma questo romanzo si colloca al di là della cronaca per regalarci le sfumature emotive della vita di Bellezza.

Seguiamo i suoi pensieri attraverso il battito della scrittura, la vediamo nascere nei boschi, creatura della notte che la notte sa abitare, la osserviamo bambina ribelle dai piedi scalzi, la compatiamo nel giorno di un matrimonio che sa di compravendita, soffriamo con lei le torture impensabili a cui viene sottoposta e di lei raccogliamo le ultime parole che rivolge al figlio, un canto d'amore prima della notte più buia, quando deciderà, per fuggire la condanna definitiva di darsi la morte con dei chiodi in gola. 

Un romanzo costruito come riflessi di specchi: l'autrice intreccia la sua visione a quella della protagonista regalando squarci lirici di estrema delicatezza e potenza. 

“Sopravviverò inestinguibile nel domani proibito…”

 

 

L'Arcistrea Bellezza Orsini
Maria Pia Selvaggio
Spring edizioni

MARIA PUSCEDDU:

"IL CORPO RACCONTA: PSICOSOMATICA E ARCHETIPO"

 

 

Così come la funzione crea l'organo, allo stesso modo l'archetipo struttura la mente umana. Un'equazione, quella tra funzione e archetipo che svela una comunicazione analogica continua alla base del vivente. Ci sono molti immagini archetipiche per ogni archetipo. Per avvicinarsi all'Uno, all'archetipo/funzione l'autrice parte dalla filogenetica per arrivare al terreno della psiche. Un percorso che collega biologia e psicologia: nelle funzioni primarie dell'uomo come nascere, nutrirsi, respirare, crescere... è contenuta una radice archetipica, un simbolo, la cui comprensione può portare ad una consapevolezza del proprio stato psicofisico.

Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una. (cit. dalla Tavola Smeraldina, testo sapienziale che sarebbe stato ritrovato in Egitto, prima dell'era cristiana): per comprendere il macrocosmo l'autrice ci svela ciò che pulsa nel microcosmo, nell'universo delle particelle, delle molecole, degli atomi.

Una molecola trascende gli atomi che la compongono, un uomo trascende le cellule che lo compongono: un legare insieme che è alla base dell'etimologia del simbolo, ma anche della parola “religione”. In virtù di questo presupposto ogni organo è portatore di una funzione, e la malattia è l'espressione di un disagio connesso alla funzione/archetipo.

La malattia, che ha bisogno di essere letta ed accolta nel suo significato simbolico, si configura come un campanello d'allarme ed ultimo stadio di un disagio profondo che necessita di essere ascoltato e affrontato sul piano che gli appartiene, ovvero quello psichico, affinché il corpo sia sollevato da un ruolo che non gli compete. Pur partendo dunque dalla stessa funzione/archetipo, il corpo sembra subire una mancata consapevolezza psichica. Un “campanello d'allarme” che parte dal disturbo, passa per la disfunzione, per arrivare alla lesione d'organo.

Il segreto è l'equilibrio dinamico dei due sistemi che insieme assolvono la funzione vitale di salvaguardare il Sè psicosomatico dell'individuo.

Carico della poesia del vivente è, in particolare, il primo capitolo “Il sacro vincolo: relazioni per costruire il mondo”: formare una coppia non significa affatto entrare nella stasi, come molti paventano, ma dar vita ad una dinamica più complessa che, pur nel rispetto delle libertà individuali, genera nuove possibilità altrimenti precluse. La biologia insegna che sulla solidità della struttura sott'ordinata si costruisce la sana libertà di quella sovraordinata: un respiro d'amore guida la danza della vita, respiro che ritroviamo nelle relazioni umane, sin dal rapporto madre/figlio.

In “Biomolecole e sintomo” è indagato il binomio creativo “conservazione e trasformazione”, con riferimenti al Libro dei Mutamenti (I Ching), al caduceo (il bastone di Hermes/Mercurio, dio della comunicazione), e ai chakra del Tantra Yoga.

In “Evoluzione: l'ascesa della materia come dinamica tra Eros e Logos” il binomio creativo discusso è quello che mette in relazione le strutture sovraordinate del Logos con la passione e l'entusiasmo di Eros, con riferimenti all'entanglement quantistico, alla Teogonia di Esiodo, passando per Lamark e Darwin. I successivi capitoli indagano i differenti apparati del corpo umano.

Il libro di Maria Pusceddu è uno dei pochi testi che indaga la psicosomatica da un punto di vista filogenetico, un libro denso di contenuti che l'autrice riesce a comunicare con un linguaggio semplice ed efficace. Sta ad ogni lettore, dopo o durante la lettura, lasciar sedimentare i concetti per renderli attivi e funzionali.

L'aspetto cognitivo, attraverso il quale le parole scritte arrivano alla coscienza del soggetto, non dovrebbe essere la meta finale, ma soltanto la via che fa scivolare quanto si è appreso a livelli più profondi. (...)

Se l'evoluzione ci ha messo in grado di riflettere su noi stessi, non dovremmo mai venir meno alle possibilità che ci sono state consegnate alla nascita: questo è il dono, questo è il compito!

 

MARIA PUSCEDDU:

 

"IL CORPO RACCONTA: PSICOSOMATICA E ARCHETIPO"

 

PERSIANI EDITORE

Medichesse: la vocazione femminile alla cura

 

 

Se gli uomini hanno dominato l'universo delle parole, le donne hanno avuto il potere sul mondo delle cose.

Caterina Sforza, Maria l'Ebrea, Trotula de Ruggiero, Merit ptah, Agnodice, Jacopa Felice, Metrodora, Morgana, Elena, Circe e Medea: nomi noti, nomi sconosciuti: cosa accomuna queste figure? L'arte della cura, praticata dalle donne sin dagli albori della civiltà, quando, prima delle invasioni degli indoeuropei, Dio era donna.

Dalla potenza primigenia femminile incarnata dalla Potnia, Signora dell'Universo, la cura femminile ha subito un processo di degradazione e si è successivamente incarnata nella maga manipolatrice degli elementi, e successivamente nella strega, perseguitata come capro espiatorio sociale. Le parole della Gimbutas, tratte dal libro Il linguaggio della Dea, esprimono con chiarezza questo concetto:

La detronizzazione di questa invero formidabile Dea, la cui eredità fu raccolta da levatrici, profetesse e guaritrici, le migliori e più coraggiose menti del tempo, è segnata dal sangue,ed è la maggiore vergogna della Chiesa cristiana.

Tanti sono i nomi attraverso i quali si è incarnata la sapienza medica femminile: dea, pizia, maga, sacerdotessa, vestale, alchimista, santa, strega, badessa, levatrice, cosmeta, herbaria, medichessa.

Le figlie di Asclepio, dio della medicina, sono donne: Igiea e Panecea, la prima incarna l'igiene come prima cura e la seconda il rimedio per ogni male. Sono Pharmakides, detentrici della cura erboristica, Iside, Artemide, Medea, Circe; capaci anche di kakà e di lugrà, di rimedi funesti e micidiali. D'altronde nell'etimologia del Pharmakon è presente l'ambivalenza tra medicamento, veleno e bevanda magica. Alcune scuole di medicina in Grecia pare che fossero accessibili e frequentate dalle donne, come testimonia la scuola di Cnido, nell'odierna Turchia. Merit Ptah è prima medichessa del 2700 ac il cui nome è giunto fino a noi.

In epoca bizantina la storia ci consegna Metrodora e il suo trattato Sulle malattie delle donne; all'interno della Scuola medica salernitana, invece, si distingue la figura di Trotula de Ruggiero. Nel libro sono contenuti alcuni estratti da Metrodora e da Trotula.

L'inizio dell'epoca oscura per la medicina femminile va di pari passo con l'affermarsi dell'Università e con il relegare del sapere medico all'interno dell'istituzione ufficiale.Ne fanno le spese medichesse eccellenti come Jacopa Felice de Almania processata perchè praticava senza una licenza, facendo opera di assitenza gratuita ai bisognosi.

Solo figlie, mogli, vedove di medici riescono a resistere e a continuare la professione. Le altre, soprattutto coloro senza istruzione e povere, iniziano a percorrere la strada dell'Inquisizione e del sabba con il demonio. Matteuccia da Todi, ostetrica e guaritrice venne bruciata al rogo nel 1428, sorti meno drammatiche spettarono a Gostanza da Libbiano, mentre chi poteva, fuggiva la tortura dandosi la morte, come Bellezza Orsini.

Per seguire la strada dell'autonomia della cura non resta che strada della santità e del convento, come testimonia Santa Ildegarda della quale sono riportati alcuni estratti dalle sue opere.

Chiude il libro un capitolo sulla medicina alchemica, nella quale spicca la figura di Maria l'ebrea, ricordata soprattutto per quel balneum Mariae, il bagnomaria, tecnica di estrazione che prevede un riscaldamento lento e dolce.

Le riproduzioni artistiche contenute nel libro, tratte dai Preraffaelliti e dagli antichi erbari, rendono quest'opera ancor più preziosa. Una pietra miliare all'interno della storia delle donne, un libro di cui c'era davvero bisogno.

 

 

Medichesse: la vocazione femminile alla cura

 

Erika Maderna, Aboca editore, 2014

 

 

Cridomh: 

La compensazione simbolica.

Comprendere i “casi” della vita

 

Nessuno si ammala per caso. Ogni malattia avrebbe un senso: l’affermazione è di Groddeck, medico e psicanalista e l’anno è il 1923.

Cridohm, “Centro di Ricerche Indipendenti nell’Origine della Miserie Umane”, nasce come progetto di ricerca nel 2011 con l’intento di condividere dati ed esperienze basate sull’ascolto del paziente.

La struttura del libro si articola su tre macroaree: il cervello strategico, il caso e la compensazione simbolica e il metodo dei casi unici.

La prima parte espone le localizzazioni delle lesioni intracraniche per evidenziare, attraverso esperienze comuni, il significato della lesione stessa. Con cervello strategico si intende l’insieme delle strutture funzionali cerebrali che, ad ogni istante, regolano l’equilibrio psicosomatico dell’individuo”. È definito anche “orano di relazione tra gli inconsci umani. La malattia, secondo il gruppo Cridohm, si origina da un bisogno reale non soddisfatto, una sofferenza non espressa per motivi differenti (paura, orgoglio, senso di colpa…) e trova la sua omeostasi nel sintomo.

Nel cervello strategico si distinguono la parte destra che gestisce l’azione realizzata, la sinistra che riguarda l’accoglienza ricevuta e la parte mediana che tratta i progetti da realizzare in comune. Minaccia, paura, identità, limite, previsione possono essere gestite da zone emisferiche strategiche.

La radice etimologica del simbolo indica un tenere insieme, connettere, immagine di una forza polarizzata; sintomo, invece, è un cadere, o un accadere insieme: il simbolo tiene, il sintomo cade, due forze, una orizzontale e di relazione e una verticale, di caduta nel corpo.

Il gruppo Cridohm individua i vissuti psicoaffetivi che “accadono” nel paziente prima del sintomo.

Viviamo in un passato compensato e dietro le nostre decisioni, anche quelle più banali, si possono nascondere scelte strategiche per ristabilire un’omeostasi.

Come decriptare questi simboli/sintomi? Attraverso il paraverbale (ad esempio: il pollice come simbolo di protezione materna, l’indice come simbolo del padre ma anche dito dell’accusa, del giudizio…). L’individuazione è sostenta dal linguaggio metaforico: frasi come “spremersi le meningi” “stare sui piedi”, “rodersi il fegato” e tante altre espressioni del linguaggio quotidiano sono spiragli di comprensione sul significato del simbolo/sintomo.

Una bruciatura, un graffio di un gatto, una puntura d’insetto ma anche la scelta del colore di un vestito o la propensione verso un alimento sono tutti eventi che potrebbero essere letti nell’ottica della compensazione di una sofferenza non espressa

Il metodo dei casi unici, approfondito nell’ultima parte, presenta l’ascolto del singolo caso per riuscire a districarsi nella catena degli eventi che hanno portato a Quel sintomo in Quel momento.

Ogni organo del corpo ha una funzione simbolica precisa che dovrà essere aumentata o diminuita per ristabilire un equilibrio.

Un testo importante che, insieme agli studi di Hammer, Dahlke, Dethlefsen, Rainville, mirano ad un approccio sistemico per la comprensione della malattia. L’originalità del gruppo Cridohm riguarda l’ampliamento di studi sugli aspetti più quotidiani della compensazione simbolica, che vanno oltre l’ambito della malattia.

Questo opuscolo può condurvi lontano Esso si prefigge di sensibilizzare a riconoscere le comprensioni simboliche inconsce e un’intima sofferenza repressa dietro a progetti, decisioni, atti e avvenimenti della vita quotidiana.

 

 

Cridomh: La compensazione simbolica.

 

Comprendere i “casi” della vita

 

Uno editori 2012

 

Gipsy Eagle:

“Psichedelia un ponte verso l'infinità”

 

Considerazioni, da cum sidero, indica, letteralmente, l'osservazione degli astri, un punto di vista siderale e cosmico sulla vita: questo libro accoglie considerazioni su quel “ponte” che in varie forme gli uomini hanno gettato per avvicinarsi al mistero.

 

Ritmo e rito hanno la stessa radice: attraverso di loro portiamo in una stato di concretezza e di attuazione un ventaglio di simboli, rendendo coese e armoniche le nostre energie.

Attraverso precisi rituali l'essere umano ha esperito il mistero della vita cosmica, spesso facilitato dall'uso di piante psicoattive legate indissolubilmente a questi contesti.

 

L'autrice dedica un ampia e approfondita trattazione ai Misteri eleusini descritti così da Apuleio: “Mi avvicinai alla linea della morte, appoggiai il piede sulla soglia di Persefone, attraversai gli elementi e ritornai, vidi il sole di mezzanotte, scintillante di bianca luce, mi accostai agli Dei tutti, del cielo e dell'ade e li adorai da vicino”.

I Misteri eleusini sono connessi ai culti dionisiaci: Dioniso è anche chiamato “il dio di Nysa”, terra che reca gli influssi delle popolazioni dravidiche di Mohenjodaro e Harappa, genti che, secondo Danielou, si sarebbero spinte poi fino all'Etruria; e infatti bhakta è il nome dei devoti di Shiva, etimo simile a bacchoi, le baccanti del corteo dionisiaco.

L'etimologia dei Misteri è nella parola “myo” che vuol dire “serrare le labbra”, esperienza totalizzante della quale non si poteva, né si riusciva a parlare, il cui fulcro era nel “vedere la fine e l'inizio di tutte le cose”, in un connubio di eros etanatos.

Nei Misteri veniva offerto il kikeon, una bevanda psicoattiva, probabilmente legata all'ergot, il picciolo del fungo claviceps purpurea; ergina e ergonovina sono alcaloidi (principi attivi) idrosolubili responsabili dell'effetto psicoattivo.

Ma mancano venti righe nell'inno a Demetra, proprio quando si parla del kikeon, perciò, il myo, il serrare le labbra su questi importantissimi momenti di passaggio è stato rispettato.

L'ampliamento percettivo può essere attivato anche dalla musica, dal canto, da tecniche oniriche, dal massaggio, dalla depurazione, dai mantra e l'autrice passa in rassegna queste modalità di avvicinamento alla Realtà cosmica spaziando da Oriente a Occidente.

 

“Manca la rotta nella lunga distanza”, afferma l'autrice nell'introduzione: siamo privi di uno sguardo che spazi oltre il qui ed ora.

Dove si trova ancora quella sensazione “panica”, di “fremente tonante”, di connessione col tutto?

“Infiniti sono i livelli di consapevolezza perchè infinita è la realtà che li manifesta”

Una nuova visione della vita deve tornare ad abitare l'uomo, che solo nel giusto equilibrio dei due emisferi celebrali, il destro e il sinistro, potrà realizzare quel “Potest” ovvero quel potenziale innato che ognuno di noi ha dalla nascita.

 

“La razza umana può continuare ad evolversi fino ad espandersi nell'infinito mare di stelle davanti a noi, ma può anche precipitare nel baratro dell'involuzione: tutto dipende dall'uso della sua vis intellettiva.

Cumsiderare, il segreto di Eleusi, vuol dire gettare le basi di una nuova ritualità, ovviamente consona alla cultura e alle esigenze dei tempi, ma sempre in grado di gettare un ponte d'arcobaleno fra Cosmo ed essere umano, fra storia e Infinità”. (cit. pg. 151)

 

 

Gipsy Eagle: “Psichedelia un ponte verso l'infinità”


Edizioni Venexia, 2007

Franz Renggli:

“L'origine della paura. I miti della Mesopotamia e il trauma della nascita” 

 

Possono le memorie dello stato prenatale e perinatale essere l'origine delle nostre paure sintomatizzate dal corpo? è la tesi dello psicanalista Renggli che ha ricercato nei miti mesopotamici (e non solo) una metaforizzazione della ferita originaria che ognuno si porta dentro.

“Lo scopo di tutte le mie ricerche è quello di capire meglio e in modo più chiaro le origini di tutte le nostre paure e ferite nella civiltà attuale”. 

La memoria cosciente si situa tra i 2 e i 3 anni di vita, età in cui l'essere umano sviluppa il linguaggio, ma ricordi più remoti ci abitano e originano le nostre paure e alcune reazioni che abbiamo nella vita quotidiana.

Il mito del diluvio universale, la lotta del dio Marduck contro Tiamat, il mare primordiale, e ancora la discesa di Inanna negli inferi e il suo rapporto con il figlio/amante Dumuzi, le imprese degli eroi Gilgamesh, Baal e Ninurta sono alcuni dei testi sumeri e accadici che l'autore riscopre in chiave psicanalitica.

Gli studi sulla psicologia perinatale partono dal presupposto (ormai scientificamente accettato) che il feto ha una sua vita psichica e che il neonato comprende il linguaggio sin dalla nascita e percepisce chiaramente i lati oscuri e le sofferenze dei genitori. 

Così le urla di un bambino non sono solo la conseguenza del trauma della nascita ma anche di quella solitudine interioreche lui (come feto) ha vissuto sin dal suo annidamento nella parete uterina.

Il figlio è il “maestro” capace di portare alla luce i lati oscuri dei genitori e di guarirli con le sue lacrime, opportunità di guarigione che un genitore deve esser capace di raccogliere anche attraverso un aiuto esterno (famiglia, amici, terapeuta...). 

Un mondo di ossimori è quello percepito dal bambino, contraddizioni di cui i miti mesopotamici si fanno portavoce: la distruzione della città (cantata negli inni a Sumer e Ur) simboleggia la nascita, anche se il nemico non è facilmente distinguibile; ambivalente è il rapporto con la placenta (amica o nemica?) come si evince dallo scontro tra Gilgamesh ed Enkidu che poi diverranno inseparabili, e Gilgamesh piangerà la morte dell'amico che si porterà via il suo lato emozionale (che egli cercherà, inutilmente, per tutta la vita). Altrettanto controverso è il rapporto madre/figlio come traspare nel mito di Inanna e del figlio/amante Dumuzi che lei condannerà a restare negli inferi ma che verrà poi liberato dalla sorella Gestinanna, simbolo positivo della maternità. (Le figure della madre, della sorella, e dell'amante non hanno contorni precisi nei miti antichi).Il cordone ombelicale è visto come connessione tra cielo e terra, come albero cosmico (un cedro o un pioppo). 

Alla luce di questi studi l'autore lancia la sfida di una rilettura dell'Iliade e dell'Odissea come rappresentazioni del trauma originario e chiude il saggio con un messaggio di guarigione per l'umanità, messaggio che il genere umano sta facendo suo; tre – spiega l'autore- sono gli aspetti già in atto di questa guarigione: l'elaborazione della ferita primaria, il crescente numero di attivisti e volontari che attuano una nuova autodeterminazione dal basso (con la crisi del sistema politico) e lo sgretolamento delle grandi religioni monoteiste verso la ricerca di una propria spiritualità silenziosa. 

“Credo che oggi sia necessario lasciarsi alle spalle ogni tipo di ispirazione al potere. Si tratta di prendere nuovamente sul serio il nostro corpo, tutte le sue sensazioni e tutto ciò che esprime; vi sono sempre sentimenti, forti emozioni nascoste da liberare. Questo significa in primo luogo che dobbiamo dare libero sfogo alle nostre lacrime, con una conseguente diminuzione della nostra inclinazione alla violenza e alla distruttività”.

 

(Magi Edizioni, 2011)

 

Marshall Sahlins -

Un grosso sbaglio.

L'idea occidentale di natura umana.

 

Scusate. Ci siamo sbagliati e questo errore sta mettendo a repentaglio la nostra esistenza.

 

Quante volte davanti all'idea di una società libertaria, basata sull'isonomia, sull'uguaglianza politica e sociale, sulla possibilità di libera realizzazione delle proprie potenzialità senza una Stato che diriga, controlli, comandi mi è stato risposto:

 

- è utopia, è impossibile, l'uomo è per natura egoista e per natura approfittatore.

 

No, grazie non ci sto. Una società così come la immagino io non è utopia ma Eutopia (luogo del bene-essere): c'è stata, è esistita cronologicamente per un periodo più lungo della storia che conosciamo, per spiegarlo non possiamo che rivolgerci all'antropologia, o ad alcune teorie archeologiche ancora osteggiate.

 

 

 

Tutto parte dalla distinzione di natura /cultura, Physis e Nomos.

 

Nel 1763 Adams scrive: "Se potessero, tutti gli uomini sarebbero tiranni" e ancora "le passioni egoiste sono più forti che la socievolezza". Davanti a tali assunti Adams proponeva un governo misto che unisse democrazia, oligarchia e monarchia, un sistema insomma autoregolato da poteri opposti.

 

Siamo davvero figli di Hobbes? Abbiamo davvero bisogno di un sovrano tiranno che plachi la nostra fame di potere, dell'uno contro l'altro? Per Hobbes anche un atto lodevole serviva per procurarci l'aiuto di molti solo per scopi personali.

 

Da Hobbes, con un passo indietro, arriviamo a Tucidide. Con un passo avanti arriviamo a Kant: "L'uomo è un animale bisognoso di padrone". Per placare la nostra natura animale fortemente distruttiva abbiamo bisogno di un potere che stia sopra, un potere che per secoli abbiamo associato alla massima espressione di cultura (e democrazia).

 

Tale padrone si manifesta come "una razza di conquistatori che, con forza organizzativa, pianta le sue zampe su una popolazione amorfa" diceva Nietzsche. Per convalidare il tutto l'autore sposta l'attenzione alla mitologia, che da millenni struttura l'immaginario delle popolazioni. E così, a ristabiliare l'ordine contro la malvagità naturale dei Titani, c'è un Zeus armato. (Peccato che l'autore non getti una sguardo sulle cosmogonie precedenti al dio padre).

 

Tale concezione di natura = malvagità istintuale e cultura = ordine, ha altresì portato a trasfigurare il linguaggio ampliandone la sfera semantica fin quasi a comprendere il significato opposto, fenomeno che Skinner chiama "Paradiastola": è una paradiastola, ad esempio, l'esportare la democrazia attraverso i carri armati.

 

Per iniziare a smontare il binomio natura-cultura l'autore parte dal concetto di parentela come relazione reciproca dell'essere. Parentela, Kinship, ha la stessa radice di Kind, gentilezza. Con un excursus interculturale si arriva a destrutturare il concetto di individuo ponendolo nell'ottica del dividuo, ovvero delle relazioni con la comunità umana e non umana. Anche il corpo, terreno dell'individuo, rientra nella responsabilità culturale, poichè è la comunità che lo nutre.

 

La natura, sede di pulsioni egoiche, è stata condannata dal cristianesimo: se il mondo fosse corpo di dio "qualsiasi cosa si pesti si pesterebbe Dio, nell'uccidere un animale si ucciderebbe una parte di Dio", un'assurdità per Sant'Agostino che si domanda "Chi è Dio" e si risponde "Non sono io": non sono io, nè ciò che mi circonda dunque. Concetti assurdi per i Maori dove ogni cosa è imparentata o per i Chewong della Malesia. L'umano e l' animale prendono il posto di Nomos e Physis.

 

Chi sono i realisti? Si domanda l'autore: "Chi considera la cultura come lo stato originario dell'esistenza umana e la biologia come lo stato secondario e condizionale". Detto ciò, la cultura affonda le sue radici già 3 milioni di anni fa. "Condurre una vita basata sulla cultura significa avere la capacità e riconoscere la necessità di realizzare simbolicamente le proprie inclinazioni corporee".

 

è dal simbolo, dall'archetipo che bisogna ripartire e reimpostare i rapporti sociali e culturali. Socialità e cultura diventano facce della stessa medaglia, che si esprime attraverso l'universo simbolico del corpo umano, simbolismo che la religione, sotto la spinta del potere che ammannetta, ha cercato in ogni modo, in Occidente di raffigurarsi come binomio caos/ordine e uomo/dio.

 

Natura è cultura. Physis e Nomos si ricongiungono. Il resto è storia, è la storia che verrà.

 

 

 

 

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