Le erboriste medievali
del 18 settembre 2014
di Silvia Pietrovanni
Perché scrivere un articolo appassionato sulle erboriste medievali? Perché mi sento vicina a loro. Perché mi piace mantenermi in salute con le piante, perché cerco in esse il messaggio profondo, provando a guardarle con un occhio che non le riduca a semplici contenitori di principi attivi. Inquisitori e medici hanno provato a schiacciare il pensiero e la visione delle dominae herbarum con un bisturi razionale e freddo con il quale hanno iniziato a dividere, ad analizzare il corpo.
Adoratrici del demonio, questa l’accusa più frequente. La radice etimologica della parola diavolo è dia-bolein, che significa “lanciarsi attraverso per separare”, cioè agire per dividere senza aver prima conosciuto e penetrato l’altro concetto. Chi davvero si lanciò per dividere il corpo dallo spirito, l’uomo dalla natura, il principio attivo dalla pianta, l’albero dalla divinità che lo abita? Tanti sono i libri che parlano di streghe – libri basati sui processi – ma pochi sono quelli che analizzano la figura della domina herbarum, della curatrice erborista, punto di riferimento imprescindibile per la comunità.
Herbaria: la parola compare per la prima volta nel Pactus Alemannorum del VII secolo con riferimento alla strega che vaga di notte per compiere i suoi malefici. Tre processi mi hanno incuriosito, processi di guaritrici, di donne forti, vedove come Matteuccia da Todi o Gostanza da Libbiano, o donne sole comeBellezza Orsini, donne che non si sono fatte vincere dalle avversità ma si sono rimesse in gioco, hanno imparato un’arte e l’hanno praticata e messa a disposizione del popolo.
Bellezza Orsini, strega di Collevecchio, è tra le poche guaritrici capaci di leggere e scrivere: «Io curo e medico ogni male. So guarire le doglie, le ossa rotte, chi fosse adombrato da qualche ombra cattiva e molte altre infermità. Non sono strega, curo con un mio olio fiorito fatto di alberi ed erbe, fatto solo con la natura». Sarebbe bello poter leggere quel libro di 80 carte che Bellezza custodiva gelosamente, libro frutto della cultura popolare, soprattutto femminile. Che cosa poteva contenere, poi, quest’olio fiorito, panacea d’ogni male? Bellezza sapeva che dietro ogni malattia c’era un male a dire, un’ombra malinconica che andava curata quanto la sofferenza fisica.
Bellezza ha cercato e trovato una morte simbolica, cosciente che tutto il suo sapere si sarebbe ridotto a un baciaculo del diavolo e a voli magici nel sabba. Bellezza Orsini s’è data la morte ferendosi con dei chiodi in gola. La gola è l’organo della voce e della comunicazione, una comunicazione interrotta perché non ha trovato orecchie disposte ad ascoltare e, mediante l’ascolto, a mettersi in gioco, ad evolversi.
Meglio che si dica quello che vogliono sentirsi dire: che incontra il diavolo, gli bacia il culo, fa sesso con lui insieme ad altre donne depravate come lei.
Gostanza da Libbiano: di lei consiglio la visione del film interpretato da una meravigliosa Lucia Poli (qui). Questo film parla più di mille parole. Aggiustaossa, levatrici, erboriste: la divisione del lavoro non c’era, si era soprattutto guaritrici, praticanti la vocazione della cura. E spesso non c’era neanche un salario, le herbarie chiedevano un’offerta libera, oppure si facevano pagare a guarigione avvenuta (così come era solita fare Jacopa Felici, medichessa espulsa dall’Università di medicina di Parigi). Come curavano queste donne? Forse come curerebbe oggi una guaritrice di campagna, con il Facere cum herbis attraverso degli atti, che, uniti alla pianta, alla preghiera, all’azione simbolica, andavano a modificare il sistema malattia, e la sua causa.
Mi vengono spesso in mente la parole lette nell’introduzione del libro dell’antropologo Jeremy NarbyL’intelligenza della natura quando parla di una anziana erborista estone, Laine Roth, il cui metodo di cura descrive così: «Le piante le parlano, le dicono quando sono più potenti e quando è il momento per raccoglierle… e quando la gente le parla delle proprie malattie, lei sente la malattia nel suo corpo, che agisce come uno specchio. Poi, quando realizza quali piante siano in grado di curare la malattia, prova sollievo in quella parte del corpo che si è identificata col malato».
Questa testimonianza è la prova di una connessione profonda tra paziente e guaritore e tra guaritore e natura.
22 gennaio 1828: viene uccisa la stria Gatina, vedova, ultima strega della Valsesia, perché aveva maledetto chi aveva sradicato quell’albero di noce al quale era molto legata. E si sa che credendo con forza ad un maleficio si prepara il terreno perché questo possa avvenire. E così i due assassini del noce s’ammalarono in poco tempo e alla paura della comunità non c’era che rispondere con un capro espiatorio.
È per ricordare Gostanza, Bellezza, Matteuccia, Gatina e tante altre che ho scritto il testo teatraleHerbarie: le chiamavano streghe, provando a immaginare la quotidianità di tre donne erboriste, testo in lavorazione dalla compagnia di teatro civile Anemofilia. (www.anemofilia.it)
Ciliegia: dal frutto al peduncolo passando per il nocciolo
23 giugno 2014
Cadono fiori di ciliegio
sugli specchi d’acqua della risaia:
stelle,
al chiarore di una notte senza luna.
(Yosa Buson – XVIII secolo)
Se i fiori di ciliegio sono cantati dai giapponesi come simbolo di impermanenza, la ciliegia viene associata al sangue del samurai pronto al sacrificio.
Lungi dall’associarla al sacrificio, io la associo all’estate, al mare, al veloce passaggio dall’albero alla bocca.
Alla prima ciliegia matura dell’anno mia madre mi diceva sempre di esprimere un desiderio. Ancora oggi mi trovo ad onorare la tradizione, ma aggiungendoci qualche informazione in più proprio su questo frutto.
“Di maggio ciliegie per assaggio, di giugno ciliege a pugno” : visto che tra poco questo frutto inizierà ad abitare le nostre tavole, mi piaceva l’idea di darvi qualche piccolo suggerimento di riuso di scarti alimentari, partendo dal presupposto che della ciliegia non si butta niente, anzi la parte erboristica è costituita proprio da quel peduncolo che finisce nella spazzatura.
Gustatevi la nostra ciliegia, dunque, ma non gettate il peduncolo perché è uno dei migliori prodotti erboristici per l’eliminazione dell’acido urico, compare anche in diverse tisane dimagranti comedrenante delle vie urinarie, utile anche in caso di cellulite e cistite.
La tisana si prepara per decotto facendo bollire 1 cucchiaio di peduncoli per 10-15 minuti a fuoco lento, a dose di massimo 2 tazze al giorno per due volte alla settimana.Per uso esterno i peduncoli sono utili per lenire irritazioni e screpolature della pelle o ridurre capillari evidenti: sarà sufficiente applicare compresse di garza imbevute sulle parti da trattare. Per seccare i peduncoli sarà sufficiente disporli, per chi li avesse, nei setacci: perfetti per far seccare qualsiasi pianta officinale visto che permettono il passaggio dell’aria nei due sensi.
Non è solo il peduncolo che va conservato, ma anche il nocciolo. I noccioli della ciliegia, infatti, sono dei formidabili conduttori di calore, raccogliendone una discreta quantità si possono realizzare dei cuscini da utilizzare come borse dell’acqua calda – o fredda – ma anche per alleviare tensioni muscolari, torcicolli, coliche addominali o, se freddati, sono utili come refrigerio e per stimolare la microcircolazione. Ma procediamo per gradi. Iniziate a pregare gli amici di portarvi i loro noccioli smangiucchiati. Una volta raccolto un gruzzoletto, potete lavarli e farli seccare al sole. Quando sono pronti, prendete una vecchia federa e cuciteli stretti stretti. Ed ecco fatto.
Io la uso più d’estate che d’inverno, metto il cuscino in freezer qualche ora prima di andare a dormire e il cuscino rilascia il fresco per ore senza bisogno di accendere ventilatori o condizionatori.
Vi lascio con questa massima della scuola medica salernitana:
“la ciliegia assai purga il grave stomaco, e i suoi noccioli scacciano la pietra, ed essa ancor fa nelle vene ottimo sangue” .
Non chiamarli “scarti”.
Riuso erboristico degli avanzi alimentari
14 maggio 2014
Che la cucina sia una vera e propria officina erboristica non è un mistero: pensiamo alle spezie, veri e propri fitonutrienti che fuori dal piatto possono essere assunti come tisane o estratti per la salute e la cosmesi. Molti però ignorano cosa si può fare con gli scarti alimentari.
Qualche esempio:
- le foglie dei carciofi (non trattati) sono dei veri depuratori del fegato, se assunti in decotto (facendo bollire le foglie dopo averle tagliate) possono aiutare il nostro organo emuntore, in più hanno proprietà digestive e diuretiche;
- le bucce della carota, con cui possiamo realizzare un oleolito per la pelle lasciando a macerare le bucce per circa un mese al sole in olio di semi fino a copertura. Ricordiamoci di coprire ai lati il recipiente con carta o teatrapak perchè ricevano solo il calore del sole e non la luce e di tenere però il recipiente aperto (ma coperto con carta o garza per non fare entrare insetti o sporcizia) per permettere alla parte acquosa di evaporare. L’oleolito di carota ha proprietà addolcenti, anti-age, emollienti, idratanti;
- le bucce di arancia e limone: contengono vitamina A e oli essenziali utili come dermopurificanti o per aromatizzare le nostre tisane della sera (effetto distensivo). Porre le bucce (compresa la parte bianca) in olio di semi di girasole (fino a copertura) per circa un mese, avvolgendo con carta o tetrapak l’esterno del barattolo perché ricevano il calore del sole ma non la luce e girando di tanto in tanto. Con le bucce seccate al sole possiamo anche fare un decotto dalle proprietà calmanti facendo bollire l’acqua con le bucce per circa 8 minuti e tappando poi il composto. Lo stesso decotto possiamo usarlo per fare frizioni dopo-shampoo sui capelli grassi;
- le foglie di lattuga: in pochi sanno che la lattuga (la lattuga serriola in particolare) era in origine una piantapsicoattiva che è arrivata sulla nostra tavola grazie agli innesti degli antichi egiziani, (un capitolo sulla lattuga è nel libro di Giorgio Samorini, Droghe tribali): il lattice della lattuga, il lattucario, può avere 2 effetti contrastanti: in piccole dosi ha azione blandamente calmante, ma in dosi maggiori (difficili da raggiungere) può dare azione eccitante: a tal proposito nelle antiche pitture egizie alla lattuga era associato il dio Min, dio in erezione (da Min sembra derivare la parola siciliana “minchia”). Per conciliare il sonno possiamo quindi fare una tisana di foglie di lattuga, dormite sonni tranquilli: sarà difficile raggiungere le dosi elevate per l’effetto paradosso!
Insomma, prima di gettare gli scarti…. controlliamo se possiamo usarli in fitoterapia!
Per ora mi fermo qui. Ma spero di continuare a darvi piccole ricette o curiosità erboristico/antropologiche con continuità!








LACRIME DI TIMO
Alcune protagoniste della mitologia antica, soprattutto femminili, piangono piante officinali. Una singolarità, questa, non verificabile direttamente nei testi greco/latini, quanto riconducibile alla cultura popolare successiva.
Questo particolare è venuto fuori nell’ambito di una ricerca che ha origine da una esigenza precisa: restituire alle piante, soprattutto quelle officinali, una dimensione narrativa che possa, in qualche modo ricollegarsi, o persino spiegare la sua funzione farmacologica. Questo studio mi appassiona da anni e prenderà forma in un vero e proprio libro.
Nel frattempo condivido con voi questo pensiero sulle lacrime divine partendo da Arianna.
Una delle versioni del mito ci racconta che Arianna, la luminosa, dopo aver aiutato Teseo ad uccidere (o addomesticare?)il fratello, l’oscuro Minotauro, fugge con l’amato e i due si fermano sull’isola di Nasso. Qui Teseo sembra ricevere l’intimidazione di Dioniso che gli appare in sogno e gli dice di lasciare Arianna perché gli appartiene. Euripide riporta una versione secondo la quale Arianna sarebbe già stata sposa di Dioniso, e Teseo sarebbe arrivato secondo.
Senza dilungarci su questo particolare agonistico tra supereroi, quello che ci interessa è che Arianna si sveglia sola, si accorge di essere stata abbandonata, e piange.
Arianna piange lacrime che, al contatto con la terra, si trasformano in timo.
Perché di tante piante la cultura popolare associa proprio il timo a Arianna?
Facendo lavorare la mente associativa sull’archetipo del labirinto, sui gherigli intricati, e mettendolo in relazione al corpo umano, ecco venir fuori il collegamento tra labirinto – cervello – intestino.
Cervello e intestino, primo e secondo cervello (quale sia poi il primo è da stabilire): nell’intestino sono presenti una fitta rete di neuroni che ricevono e trasmettono stimoli in relazione agli stati d’animo. Ma non solo: la serotonina, ormone della felicità viene prodotta sia dal sistema gastrointestinale che dal sistema nervoso centrale.
Arianna piange il suo rimedio. Perché il timo, grazie al suo olio essenziale, il timolo, ha proprietà antibatteriche e antisettiche estremamente potenti. Assumere timo significa aiutare il processo digestivo e stimolare l’appetito. Il timo sostiene un labor intus, un lavoro interiore, nel vero senso del termine.
Ma la spezia mediterranea si collega anche all’altro “cervello”, perché è un tonificante del sistema nervoso centrale ed efficace in caso di stress psicofisico. (Io lo consiglio nella tisana del mattino insieme al rosmarino, che sostiene concentrazione e memoria).
Torniamo al pianto di Arianna: la lacrima è fluido vitale, chi piange è vivo, anche gli dei e gli eroi greci piangono come ci racconta Nucci nel libro Le lacrime degli eroi.
Il fluido vitale di Arianna viene trasmesso alla terra che fa nascere una delle piante più potenti per i due cervelli. L’odore aromatico richiama il dio che incarna lo spirito vitale per eccellenza, Dioniso (dio dell’ebbrezza che odia gli ubriachi).
La radice indoeuropea del timo è dheu che significa “alzarsi in fiamme”, “ardere”: infatti il timo era una delle piante che venivano usate nelle cerimonie religiose come incenso.
Arianna rende transitivo il verbo, e piange una preghiera, accolta repentinamente dalla terra, (ma anche dal cielo), facendo giungere dall’alto il dio più “terreno”.
Nonostante le lacrime aperitive e digestive, nonostante il flirt col dio e con l’eroe, Arianna non sembra essere accompagnata da una sorte felice, ma questa è un’altra storia